Allah
è grande
Anzi in espansione
Di Dante Balbo
"Fino ad oggi avevamo incontrato mussulmani, oggi stiamo incontrando l'islam"
Questo
è il secolo della multicultura, della tolleranza e della comunicazione
globale. La teoria multiculturale, tuttavia, si misura con fenomeni emergenti
concreti.
Una delle sfide che potrebbero diventare motivo di crescita per l’Europa intera
è la presenza sempre più importante di uomini e donne mussulmane,
nel nostro continente.
Il 31 agosto del 1999 questo tema è stato oggetto di un momento di riflessione
del clero ticinese, per il tramite di mons. Maggiolini, Vescovo di Como.
Nello stesso periodo ad occuparsi del problema dei rapporti con l’Islam era
anche il Meeting di Rimini dello scorso 22-28 agosto che per il suo valore culturale
trascende ormai i confini del movimento che lo organizza.
Abbiamo perciò voluto raccogliere da questi due eventi uno spunto di
riflesione sulla questione, presentando in questo numero parte dell’Omelia di
Mons. Maggiolini e parte di un dossier islam pubblicato sul mensile Tracce di
settembre 1999.
Islam. Incontro e sfida
Riferimento ideale e politico per un miliardo e 200 milioni di persone, la religione
fondata da Maometto sta conoscendo una stagione di espansione e insieme di profondo
travaglio di cui è difficile immaginare l’approdo, ma che certamente
interpella e sfida l’Europa, la costringe a interrogarsi sulle sue radici profonde,
a riscopertine/coprire cosa può ancora darle consistenza e consentirle di reggere
un confronto ormai ineludibile.
Nuovi vicini di casa
Dieci milioni di musulmani nell’Unione europea, di cui almeno seicentomila in
Italia: c’è anche questo nel grande fiume carsico dell’immigrazione che
da cinquant’anni naviga nei territori del Vecchio continente. Chiamati dalla
grande industria per contribuire alla ricostruzione post-bellica, magrebini,
turchi e asiatici hanno messo radici in Europa, e dopo gli operai sono arrivate
le mogli, sono nati i figli, è cresciuta una seconda e una terza generazione
in cui l’Islam, pur assumendo diverse connotazioni, costituisce un collante
capace di unire persone di lingue, etnie e tradizioni distinte, l’anima unificante
della umma, la comunità transnazionale voluta dal Profeta.
Si è così venuto a configurare un protagonista nuovo sulla scena
delle società europee, che ha indotto il Vescovo di Marsiglia a commentare:
“Fino ad oggi avevamo incontrato musulmani, oggi stiamo incontrando l’Islam”.
Anche la società italiana ha conosciuto da anni, seppure con diversa
intensità, il fenomeno dell’immigrazione da Paesi musulmani : un’immigrazione
che può rappresentare una risorsa per alcuni settori della nostra economia
e che dev’essere conosciuta, valorizzata e governata con rigore piuttosto che
demonizzata - come ha ammonito il ministro per la Solidarietà sociale
Livia Turco - e alla quale vanno riconosciuti gli spazi di libera espressione
che le democrazie occidentali custodiscono nel loro codice genetico. Ma perché
possa realizzarsi un’autentica integrazione, un incontro fruttuoso tra popoli
e culture, non si devono mettere in discussione i fondamenti della nostra tradizione
e della nostra civiltà giuridica, magari in nome di un appello politically
correct a una società multiculturale oggi tanto evocata quanto evanescente
nei suoi contorni; una società in cui la presunzione di riconoscere a
tutte le culture pari dignità e importanza sortirebbe come infausto esito
l’omologazione delle identità e la cancellazione di un volto i cui tratti
sono in gran parte da attribuire alla tradizione cristiana, come ha ricordato
il direttore della Fondazione Agnelli, Marcello Pacini. E il gesuita egiziano
Samir Khalil Samir, uno dei massimi studiosi del patrimonio culturale arabo-cristiano,
ha sottolineato che solo ritrovando le sue radici cristiane l’Europa può
diventare capace di un dialogo fruttuoso con i musulmani. Un dialogo che, se
condotto con lealtà e senza abdicare alle rispettive diversità,
risulterebbe utile a entrambi gli interlocutori: “I musulmani che si trovano
in emigrazione possono imparare che la modernità non è nemica
della fede e che la distinzione tra religione e politica si traduce in un vantaggio
per l’intera società; i cristiani d’Occidente guardando all’Islam possono
recuperare lo spessore di una fede troppo spesso ridotta a esperienza intimistica,
individuale e inincidente sulla realtà”.
Ma l’autenticità del dialogo, ha ribadito, “richiede che nessuno rinunci
a qualcosa di sé per far piacere all’altro”.
La Chiesa non è mai straniera
Sulla stessa lunghezza d’onda sono risuonate le parole di Monsignor Fouad Twal,
primo vescovo arabo in terra tunisina dopo molti secoli, alla guida di una comunità
costituita totalmente da stranieri: 22mila persone, in gran parte tecnici di
aziende occidentali che prestano la loro opera per alcuni anni all’estero. “Ma
ci sentiamo responsabili anche nei confronti dei 4 milioni di turisti che ogni
anno passano le loro vacanze in quella terra, come pure dei nove milioni di
tunisini musulmani - ha sottolineato -. Perché vivere la Chiesa in terra
d’islam non è qualcosa da sopportare come un destino nefasto, ma un capitolo
del disegno salvifico di Dio che riguarda tutto il mondo”.
Niente complessi di inferiorità, dunque, nelle parole del pastore di
questo “piccolo gregge”, ma l’impegno nella testimonianza delle opere, le poche
rimaste in vita dopo che, in seguito all’indipendenza dalla Francia, nel 1956
la diocesi ha ceduto il 95% dei suoi beni allo Stato conservando cinque chiese,
una clinica (la prima fondata a Tunisi), 15 scuole frequentate da migliaia di
studenti musulmani e alcune biblioteche sparse nei quartieri della capitale.
Sono queste opere, con le quali viene svolto un servizio a tutta la società,
il canale per il “dialogo della vita” che, ha ricordato Twal, “per i cristiani
non è un’opzione facoltativa ma un’esigenza della fede, un passo voluto
dalla Chiesa”, ma che “risulterà tanto più fruttuoso, a Tunisi
come in Italia, quanto più i cattolici che lo intraprendono saranno coscienti
di ciò che sono, mentre chi lo vive mettendo in sordina la propria identità
dà l’impressione di dire implicitamente che Cristo costituisce un ostacolo
al dialogo”.
Anche nella testimonianza di monsignor Giovanni Martinelli, vescovo di Tripoli,
è riecheggiata la consapevolezza di un compito che è anzitutto
di presenza e servizio, in un contesto come quello libico in cui, peraltro,
ai cristiani viene garantita una notevole libertà di espressione. Largamente
minoritaria dal punto di vista quantitativo (centomila persone, in prevalenza
dipendenti delle compagnie petrolifere o impegnate nel settore sanitario), ridotta
al possesso di due edifici di culto dopo la confisca dei beni seguita alla rivoluzione
di Gheddafi del 1969, la Chiesa di Libia non si considera straniera, ma è
presente secondo la logica della testimonianza e della carità: “Vivere
la fede in un contesto musulmano non può essere una semplice bandiera
che si oppone a un’altra, ma una presenza e un segno che illumina con la positività
e la concretezza delle opere”. E con dimensioni universali nel senso letterale
del termine, come testimoniano le liturgie animate nella chiesa di Tripoli da
centinaia di africani, asiatici ed europei.
La scommessa del presidente
Sulla stessa sponda meridionale del Mediterraneo sulla quale si affacciano Tunisia
e Libano c’è un Paese in cui Islam e violenza sembrano essere diventati
sinonimi: è l’Algeria, martoriata da una guerra civile costata centomila
morti in otto anni e dove i gruppi fondamentalisti seminano il terrore combattendo
in nome di una concezione radicale degli insegnamenti coranici. Una concezione
che proprio dalla tribuna di Rimini il presidente Abdelaziz Bouteflika, al suo
primo viaggio europeo - dopo la recente elezione ai vertici dello Stato, ha
duramente contestato, rilanciando la sfida di un patto di riconciliazione capace
di porre fine alla stagione di sangue e di instabilità che sta dilaniando
il Paese. Il progetto di “concordia nazionale”, già approvato dal Parlamento
e che viene sottoposto a referendum popolare il 19 settembre prevede la concessione
del perdono attraverso un’amnistia a tutti coloro che, pur avendo fiancheggiato
il terrorismo, non si sono macchiati di fatti di sangue, e pene variabili per
i protagonisti di episodi criminosi. Ponendo così le basi per la riconciliazione
nazionale, Bouteflika intende guidare una rinascita che sia insieme economica
e morale, riportando l’Algeria tra i Paesi protagonisti di una politica di cooperazione
mediterranea e ridando fiducia sia agli investitori stranieri sia alla società
civile. Alla condanna di “un islam mutilato dalla scorciatoia ideologica del
fanatismo”, il presidente ha aggiunto l’impegno dello Stato perché venga
rispettata la libertà religiosa: “Come possiamo immaginare il cristianesimo
come religione straniera in terra d’Islam dove vivono da sempre milioni di cristiani?”.
Un auspicio, questo, che suona come una sfida sia agli avversari interni di
Bouteflika, sia ai governanti di molti Paesi dove l’islam è religione
di Stato e nei quali la libera espressione della fede cristiana viene in molti
casi impedita.
Se all’impegno assunto dal presidente al gerino si aggiungerà un’iniziativa
politico-diplomatica dei governi europei - che proprio in questi anni stanno
legiferando per promuovere spazi di espressione religiosa e civile a favore
delle comunità musulmane che hanno messo radici nel Vecchio continente
- potrebbe essere questa l’occasione storica perché il tema della reciprocità
esca finalmente dal limbo delle buone intenzioni e diventi oggetto di accordi
internazionali nel segno della libertà e del riconoscimento dei diritti
umani fondamentali.
Basilica di S. Abbondio,
31 Agosto 1999 Islam
Un confronto inevitabile, un dialogo necessario, un incontro possibile
Tra gli Extracomunitari che già vivono con noi presentano una singolare
rilevanza a motivo del loro numero, della loro marcata identità e del
loro spirito di gruppo, i nostri fratelli Musulmani. i quali si pongono come
un problema particolarmente acuto dentro il problema generale già grave
dell’immigrazione.
I fedeli dell’Islam, come altri ma in modo più premente, non solo chiedono
di essere accolti; vogliono inserirsi nella nostra convivenza. E, spesso notevolmente
più degli altri, incontrano difficoltà in tale sforzo: difficoltà
che noi pure avvertiamo. Non sembra un sopruso esigere da loro la reciprocità
rispetto a quanto noi facciamo.
Non è qui il luogo per esporre la dottrina islamica, la quale, del resto,
non è monolitica come di frequente ci si immagina, né perfettamente
identificabile con gli Stati in cui variamente assume forma politica. Basti
accennare al fatto che si tratta di un corpus di convinzioni in cui trova posto
anche una qualche benevolenza verso i credenti di altre religioni; un corpus
di convinzioni, tuttavia, dove l’intera esistenza personale è rigidamente
raggiunta e va consegnata a Dio anche in minuzie comportamentali; un corpus
di convinzioni, ancora, che in più di un caso - rilevano studiosi documentati,
acuti e sereni - tende a qualche radicalismo non troppo tollerante, propenso
a tradursi pure in strutture di pubblico potere: talvolta al limite di una certa
“teocrazia” o quasi.
Integrazione civile e culturale
Quando i Musulmani diventeranno pure in Italia una forza sociale e in qualche
misura lo sono già -, apparirà semplicemente necessaria - lo si
voglia o no - non solo la loro accoglienza, ma anche una loro integrazione che
chiederà di rivedere la nostra stessa convivenza civile e perfino la
legislazione entro cui ci muoviamo.
Allora sarà del tutto logico riconoscere a questi nostri fratelli i diritti fondamentali di ogni persona e di ogni aggregazione religiosa, etnica, culturale ecc. che esista con qualche consistenza e operi entro gli ambiti del bene comune.
Serva soltanto qualche richiamo in tema di legislazione. Sul lavoro occorrerà prevedere, durante la giornata, la serie di soste di preghiera che l’islàm comanda ai suoi fedeli. Circa il modo di organizzare la settimana occorrerà tener conto del venerdì e non della Domenica come giorno di riposo. In campo matrimoniale e familiare si imporrà una normativa che scelga tra l’accoglienza o il rifiuto di una qualche forma di poligamia e di uno stile marcatamente favorevole all’uomo a detrimento della donna. L’alimentazione dovrà tener conto della proibizione islamica di cibarsi delle carni suine. La scuola, forse, non potrà evitare l’insegnamento del Corano e altre incombenze e altre responsabilità collegate. Ecc. In tema di diritto penale ci si potrà imbattere in più di una sorpresa.
Si sarà, insomma, di fronte a una diversa cultura con la quale occorrerà fare i conti. Meglio se senza soverchi traumi. Meglio se con qualche simpatia vicendevole. E il confronto, sereno, pacato e robusto quanto sarà possibile, toccherà anche aspetti fondamentali dell’esistenza umana. Si ha a che fare con una teoria e con una prassi che alla radice divergono rispetto alla mentalità e all’ethos europeo cristiano e particolarmente cattolico. Senza contrasti inutili e dannosi, ma anche senza abdicazioni concordistiche a tutti i costi, sarà necessario che noi Italiani - noi Europei - non mettiamo come in parentesi la nostra tradizione umanistica e scientifica, prima ancora della visione religiosa.
Si pensi, qui, non soltanto all’indagine e alla riflessione umana operate in Europa dall’illuminismo - e dal Risorgimento - in poi. Si pensi anche, e soprattutto, all’impegno di comprensione attuato lungo tutto il Rinascimento, il Medio Evo - quando la filosofia in ambito cristiano ha dovuto rivedere le interpretazioni non sempre esatte date dagli islamici ai Classici - e l’epoca patristica, antecedente al nascere del Musulmanesimo. Né sarà possibile cancellare l’avvenimento cristiano al suo inizio, in tutta la ricchezza di dottrina e di esperienza che ha offerto e suscitato anche sotto il profilo umano.
In proposito sembra ineludibile
un dilemma, forse un poco semplificato e caricaturato, ma reale: o l’Italia
- l’Europa -, predisponendosi a questo misurarsi con I’Islàm, avrà
un sussulto di dignità nel recupero e nel rinnovamento della propria
tradizione culturale, o sarà fatale che essa soccomba rispetto alla propria
missione civilizzatrice: magari affondando in una squallida lezione ripetitiva
destituita di ideali e di valori autenticamente umani. Come si nota, non si
sogna il globale prevalere del sistema di pensiero e di vita italiano - europeo
- su un altro. In gioco è una visione del mondo e del destino dell’uomo
che può colmare l’anelito del cuore della persona e portare la storia
al suo fine: una visione che può arricchirsi di chiarezza e di esperienza,
o soccombere per l’affievolirsi di certezze e di entusiasmo, o magari per noia.
Ci si può lasciar colonizzare. Nel confronto devono essere tutelati e
promossi tutti gli spunti di verità e di.valore ovunque si trovano. La
sintesi culturale originata dal Cattolicesimo non può rassegnarsi a morire:
anche perché presenta una capacità unica di assimilare e interpretare
in modo nuovo ogni valido dato culturale che incontra. Comunque, una latitanza
dell’umanesimo cattolico nel rapporto culturale priverebbe tutti di una ricchezza
incommensurabile. E non è escludibile a priori tale eventualità,
se si osserva la mentalità e il comportamento che invalgono spesso tra
noi.
Dialogo ed evangelizzazione da parte del Cristianesimo
Il confronto più profondo e decisivo avverrà, però, sul
piano religioso.
Vari studiosi prevedono una qualche secolarizzazione dell’Islam a contatto con la società occidentale. Il passaggio sarà salutare se aiuterà il Musuimanesimo a superare qualche tentazione di integrismo. Sarà dannoso se condurrà all’abbandono di ogni atteggiamento religioso.
Il Cattolicesimo non deve temere di estinguersi nel confronto autentico con l’Islàm. Il mistero dell’incarnazione non proibisce, anzi esige, che l’Umanità del Verbo, il Dio storificato che continua nella Chiesa, si transculturi continuamente rimanendo sempre se stesso, e, anzi, esplicitandosi via via nella comprensione e nella assimilazione che si ha del dato rivelato, che ultimamente è Cristo, l’umanità redenta e l’universo creato da trasfigurare.
Il dialogo non potrà dimenticare che anche il Cristianesimo nei suoi esponenti passati e attuali ha più di uno sgarro da farsi perdonare. (Diverso sarebbe il discorso se si considerasse la Chiesa nel suo Mistero, considerata, cioè, in chiave teologica). E tuttavia tale dialogo si rivelerà di singolare utilità se, in modo originale, i cattolici accoglieranno il richiamo islamico a una qualche seria unità tra fede e vita; se i credenti nel Signore Gesù si lasceranno sollecitare a rendere concreta sempre più e meglio l’esistenza religiosa e a sperimentarla in modo sempre più limpido, franco e vivace, anche in chiave comunitaria e storica; se terranno desta in loro la preoccupazione di non adattarsi al “mondo” che oggi assume particolarmente sembianze tecnologiche, individualistiche ed edonistiche.
Il dialogo con l’Islam -
un dialogo che inizia con la conoscenza dell’interlocutore, ma che non esime
certo dal conoscere la propria identità umana e cattolica - avrà
dei limiti chiari: per esempio, non consentirà ai cattolici di organizzare
“intercomunioni” rituali confuse e confondenti tra religioni disparate; non
spingerà i cattolici a fabbricare moschee o a cedere chiese a scopertine/copo di
preghiera islamica - il problema è semmai civile, da risolvere anche
secondo la consistenza delle diverse aggregazioni religiose -; metterà
sull’avviso perché non si proceda con eccessiva leggerezza in caso di
matrimoni misti che possono porre a rischio l’ unità dell’amore coniugale
e la dignità della donna, ecc.
(L’aiuto materiale va donato a tutti in base ai bisogni che i poveri hanno.
Diverso è il caso di una collaborazione religiosa). Tale dialogo avrà
pure degli esiti felici, come si è rilevato, se si compirà con
il rispetto - l’amore - alla persona dell’altro e senza alcun cedimento nel
campo della verità rivelata, della struttura fondamentale della Chiesa
e delle norme morali irrinunciabili.
E però, il dialogo non potrà porsi come l’ultima parola nel rapporto tra cristiani e musuimani. Si possono avere convinzioni e pratiche comuni fino a un certo punto: includendo pure la medesima derivazione da Abramo, con gli Ebrei. Poi, tuttavia, non si potrà - non sarà leale né rispettoso per l’altro - tacere anche ciò che divide. Il credente nel Signore Gesù deve poter dire con serena sicurezza che l’islamismo non è una religione totalmente vera; che è una religione parzialmente falsa. Ovviamente, lasciando che il Musulmano affermi altrettanto nei confronti del Cristianesimo. Allora il confronto dovrà continuare con la chiarezza e con la pazienza che rispetta lo stile e i tempi di Dio. Valga la verità.
A questo punto insorge l’obbligo
e l’esigenza della evangelizzazione, che non è proselitismo, né
si deve svolgere con mezzi - apertamente o subdolamente - coercitivi. La Verità
e l’Amore cristiani si impongono da loro stessi, se sono proposti da una Chiesa
viva che si affida all’aiuto dello Spirito del Signore Gesù.
Un interrogativo, per concludere: la comunità cattolica che vive in Italia
- in Europa - oggi, con le sue divisioni, con le sue distrazioni, con le sue
accondiscendenze alla mentalità “mondana”, con le sue ripulse di fronte
al mistero salvifico, con le sue paure e quasi vergogne di possedere - a modo
di dono - la Verità e la Grazia divine, saprà rendere ancora testimonianza
al suo Signore?